Il vitto pitagorico

Giovanni Bianchi, Se il vitto pittagorico di soli vegetabili sia giovevole per conservare la sanità, e per la cura d’alcune malattie, In Venezia, presso Giambatista Pasquali, 1752 BGR, 13 MISC. CCXVI 44

Se il vitto pitagorico di soli vegetabili sia giovevole per conservare la sanità, declamato nel 1747 e dato alle stampe nel 1752, è uno dei tanti scritti polemici di Giovanni Bianchi. L’avversario di turno è Antonio Cocchi (1695-1758), medico, filosofo, antiquario e letterato al pari del Planco, autore della dissertazione Del vitto pitagorico di soli vegetabili, letta nel 1743 e pubblicata l’anno successivo. Per “vitto pitagorico” si intendeva, al tempo, un regime alimentare vegetariano, e preferibilmente crudista, contrario – oltre che alle carni – alla cipolla, all’aglio e soprattutto alle fave, ma tollerante, in compenso, col latte e i latticini. L’asprezza dei fendenti polemici non oscura le buone ragioni che hanno entrambi i contendenti: Cocchi nel mostrare i pericoli di un’alimentazione carnea smodata e nell’anteporre la dieta e la vita sobria ai farmaci; Bianchi nel puntare il dito sui danni provocati dal vegetarianismo forzato di coloro che «per la povertà non possono nutrirsi e corroborarsi lo stomaco con buone carni e con il loro brodo», nel denunciare le prevenzioni e i tabù alimentari, e nell’auspicare un numero maggiore, anziché più ristretto, di alimenti, a cominciare dal «mayz, chiamato ora volgarmente gran turco o formentone».

 

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