Dantedì 2023

Sabato 25 marzo 2023 torna l’appuntamento con il “Dantedì”, la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri, indetta in coincidenza con la data del 1300 che per gli studiosi segna l’inizio del viaggio narrato nella “Divina Commedia”.

Luigi Arduini afferma che: “Ogni qual volta si accenna a Rimini, nella Divina Commedia, sembra quasi che il Poeta si arresti come dubbioso se profferirne il nome […]. Comunque sia, è certo che per la notorietà della tragedia “dei due cognati” e per l’aureola luminosa di cui Dante la circondò, Rimini ha nel poema un posto privilegiato per quanto casuale:” Poco più di 100 anni fa gli splendidi affreschi trecenteschi della chiesa di S. Agostino sembrano offrire finalmente l’occasione per dare alla città il suo posto in prima linea tra Ravenna, Firenze e Roma!

Sul sito della Biblioteca è possibile visitare la mostra virtuale allestita nelle splendide sale antiche lo scorso anno per celebrare i 700 anni della morte di Dante

https://bibliotecagambalunga.it/articolo/opere-dante-nella-storia-della-gambalunga

«Nella nobile gara fra le città d'Italia per celebrare questa ricorrenza sei volte centenaria della morte di Dante, alla nostra Rimini è toccato il più grande onore che potesse ambire, quello di essere stata unita a Ravenna, Firenze e Roma nel programma dei festeggiamenti nazionali». Così, orgogliosamente, don Domenico Garattoni poteva dichiarare Rimini “città dantesca” in apertura del numero unico «Rimini nel VI centenario dantesco» pubblicato il 14 settembre 1921 a cura del Sindacato della stampa riminese.

L'inclusione di Rimini nel circuito delle città dantesche era stata l'esito di una tenace opera di valorizzazione degli affreschi riscoperti quattro anni prima nella chiesa di Sant'Agostino. Con questa discutibile attribuzione la città celebra Dante con quattro conferenze tra aprile e maggio, due a settembre e un concerto conclusivo presso la chiesa di S. Agostino con l'esecuzione delle Laudi alla Vergine Maria (versi tratti dal canto XXXIII del Paradiso) musicate da Giuseppe Verdi. Per l'occasione viene dato alle stampe un numero unico tutto dedicato al Sommo Poeta e al suo legame con Rimini.

Il terremoto del 17 maggio 1916 fra i numerosi danni che produsse, aprì anche profondi squarci nella chiesa di Sant’Agostino di Rimini, attraverso i quali il medico e antiquario Vittorio Belli (1870-1953), grattando con un coltellino uno spesso strato di intonaco gessoso, intravvedeva un ciclo di affreschi. «Per attrarre l’attenzione dei pezzi grossi di Roma – ricorda lo storico riminese Giovanni Rimondini – lui stesso aveva dipinto sul cappuccio di un personaggio della “Resurrezione di Drusiana”, una coroncina di alloro, stranamente disposta a rovescio e l’aveva spacciata per un nuovo ritratto di Dante».

Ma fu il conte Malaguzzi Valeri, direttore della Real Pinacoteca di Bologna, in un articolo pubblicato nel “Marzocco” del 5 maggio 1918 a dare rilievo nazionale all’importante scoperta, richiamando soprattutto l’attenzione sopra un supposto ritratto di Dante che appariva raffigurato in una scena degli affreschi. Un’opinione che, già all’epoca, suscitò forti riserve e discussioni fra gli esperti e critici d’arte. Ma, come succede spesso in Italia, mancavano i fondi per restaurare il grande ciclo di affreschi della Scuola Riminese del Trecento nell’abside di Sant’Agostino e il richiamo di Dante era molto forte, anche in vista delle celebrazioni per il sesto centenario della morte del sommo poeta.

Dopo numerose pressioni, Giuseppe Gerola, primo Soprintendente di Ravenna mandò Giovanni Nave, considerato fra i migliori restauratori italiani. Ma quando il Gerola se ne andò da Ravenna, il nuovo Soprintendente, per risparmiare, licenziò il Nave e affidò ai muratori il compito di recuperare gli affreschi. Vittorio Belli non si perse d’animo, mandò un telegramma lapidario al ministro della Pubblica Istruzione: «La ritengo responsabile della distruzione degli affreschi di sant’Agostino». Il ministro della Pubblica Istruzione dell’ultimo governo Giolitti era Benedetto Croce che rimandò Nave a Rimini dove completò il lavoro, strappando anche l’affresco del Giudizio Universale.

E così, grazie anche alla “compiacenza” dello storico dell’arte Francesco Filippini e del restauratore Giovanni Nave, Rimini fu inserita nel circuito delle città dantesche, ottenendo buona parte dei fondi necessari per i restauri dell’abside, che si conclusero, appena in tempo, nel 1921. Da allora nessuno storico dell’arte si è più avventurato nel riconoscere Dante Alighieri in quel pingue signore dalla lunga veste color olivo e dal caratteristico naso. Cautissimo il professor Pier Giorgio Pasini. Nel suo “La pittura riminese del Trecento” (Pizzi editore, 1990) scrive: «La decorazione trecentesca di questa chiesa interessò subito la pubblicistica, anche popolare, soprattutto per un presunto ritratto di Dante, riconosciuto fra uno dei personaggi raffigurati nella parete di destra dell’abside. Anzi a questo presunto ritratto si deve in buona parte il rapido recupero dell’opera».

Ogni riferimento a Dante scompare negli scritti successivi di Pasini. Forti dubbi sono espressi anche nel volume “Il Trecento riminese in Sant’Agostino a Rimini” di Angelo Turchini, Claudio Lugato e Alessandro Marchi (edizioni “Il Ponte Vecchio, 1995): «Il poeta fiorentino veniva riconosciuto nel robusto personaggio dalla veste color verde oliva con risvolti vermigli, coperto di un elegante copricapo cinto di alloro… Oggi questa identificazione non è più accettata, tuttavia questo personaggio è sicuramente importante dato che l’artista gli ha riservato un ruolo di prim’ordine».

Non c’è nessun riferimento a una ipotetica immagine di Dante Alighieri nemmeno nell’ultimo volume “Il Trecento riscoperto. Gli affreschi della chiesa di Sant’Agostino a Rimini” di Antonio Paolucci, Daniele Benati e Alessandro Giovanardi con le splendide fotografie di Gilberto Urbinati (Silvana Editoriale, 2019). Insomma, niente Dante! Anche cento anni fa si fabbricavano “ fake news”, ovviamente a fin di bene.