Roberto Valturio (Rimini 10 febbraio 1405-30 agosto 1475) inizia a scrivere il De re militari nel 1446, anno che vede l’inizio della sua dimora riminese e la ammissione al Consiglio privato di Sigismondo Pandolfo Malatesta. L’opera era destinata a celebrare la gloria e le virtù guerriere di Sigismondo Pandolfo
Il trattato in dodici libri, tipica espressione del rinascimento erudito fu scritto fra il 1446 e il 1455, negli stessi anni in cui procedeva la costruzione del tempio Malatestiano. Da eccellentie filologo qual’era Valturio realizza una richissima enciclopedia di notizie sull’arte militare degli antichi. Il tempo trascorso dalla caduta dell’impero romano alla contemporaneità di Valturio, quindi tutto il medioevo è escluso dal trattato. Si trovano citati solo due autori medievali Artù e Carlo Magno. Non si trovano cenni di usi ed istituti militari coevi, non si legge un ricordo di Rimini o di un suo concittadino, una mezione dei Malatesti, nulla al di fuori di notizie relative a Sigismondo Pandolfo, spiccano la descrizione del castel Sismondo e quella del Tempio Malatestiano. Il trattato è pieno di elogi di Sigismondo Pandolfo, Valturio ci fa sapere come il signore si diletti della musica per distrarsi da più gravi cure, come sia esperto di astrologia, abile nell’equitazione e agile nel ballo. Ci ricorda del sangue freddo e la prontezza dimostrati da lui, poco più che tredicenne nell’occasione della sommossa di Giovanni di Ramberto Malatesta del 1431, la sua generosità, coraggio, la sobrietà e ogni altra virtù sono messe ripetutamente in evidenza.
Dai libri I a IV l’opera si apre con una prefazione che cerca di prevenire censure e critiche segue la dedica a Sigismondo Pandolfo, insieme condottiero insigne e promotore dell’opera, segue l’elenco delle numerose fonti classiche da cui trae le sue informazioni; poi incomincia la trattazione e, premesse alcune pagine sull’origine dell’arte bellica e su certi concetti generali attinenti alla milizia, si affronta l’esame delle speciali cognizioni che si richiedono al duce. Deve conoscere le lettere, la filosofia, la storia, l’oratoria e la poetica, la musica l’artimetica e la geometria, non tralasciare l’astrologia, la giurisprudenza e la medicina; ovviamente deve essere forte nella ginnastica. Vengono esaminate anche le occupazioni, non meno importanti, in tempo di pace e di riposo.
Nel libro V vengono con ricchezza di esempi esaminate le quattro virtù fondamentali: preudenza, fortezza, giustizia e temperanza
Dal libro VI al VII comincia una parte dedicata all’archeologia della scienza militare: riti degli antichi romani nel muovere la guerra e sancire alleanza o pace, formule e credenze religiose connesse con l’uso della milizia, norme osservate per la coscrizione per ciò che riguarda la patria l’indole l’età e la condizione del soldato, qualità richieste nei cavalli, attitudini da cercare nei comandanti, disposizioni seguite nelle marce e nello schieramento degli eserciti, giorni considerati infausti per iniziare un’operazione di guerra, osservazioni sulla scelta dei luoghi adatti ad accamparvi, norme sulla castrametazione (l'arte di disporre accampamenti militari), le sentinelli i parlamentari gli informatori e gli esploratori, procedimento degli assalti contro gli accampamenti, infine altre massime svariate relative all’ufficio del capitano in rapporto allo scopo supremo: la vittoria!
I tre libri seguenti sono organizzati come un lessico organizzato per argomento, il libro VIII recensisce e definisce i vocaboli attinenti alle dignità ed uffici pubblici, sia civili che religiosi e militari, o designati le varie categorie e specialità dei combattenti; il IX, quelli che riguardano propriamente la milizia in sé, come le formazioni gli atti i momenti e gli usi del combattere; il X, più tecnico degli altri, illustra le insegne del grado e le varie particolarità del vestito militare, poi passa in rassegna le numerose armi difensive ed offensive, le macchine (qui comprese, con una veloce menzione anche le artiglierie) ed altri strumenti e ordigni bellici. Il libro XI tratta della guerra navale (e, in rapporto a questa, dell’astrologia nautica), si occupa poi di ponti mobili, barche smontabili, zattere e simile materiale sussidiario, per terminare con ragguagli sugli eserciti e le flotte più poderose dell’antichità, sulle imprese militari terrestri e navali più memorabili, sui duci più insigni, sulle pene inflitte ai disertori ed ai disobbedienti; mentre il XII chiude l’opera con cenni intorno ai trofei, ai trionfi, alle corone ed alle onorificenze militari, ai giochi, alle offerte votive in onore della divinità.
Le illustrazioni che accompagnano il testo e che hanno contribuito alla sua fortuna, riguardano I libri X e XI, che trattano delle macchine e degli strumenti da guerra. Esse sono raggruppate in sequenza, fatta eccezione per le poche che si collocano nei primi nove libri, e sono comprese entro un centinaio di carte nella seconda parte del testo. La serie di immagini che corredano il testo. che fu probabilmente pensata da Valturio e certo realizzate sotto la sua supervisione, si avvale anch’essa di precedenti iconografici: dai trattati bizantini al Bellifortis di Konrad Kyeser al De machinis libris X di Mariano di Jacopo detto il Taccola. Sono le illustrazioni a rendere espliciti al lettore, in questo libro dalla fisionomia dotta e letteraria, alcuni aspetti tecnici dell’arte della guerra. Il ciclo di immagini è organizzato disponendo i macchinari per generi ed uso con evidente attenzione per gli strumenti d’assedio: arieti e scale, macchine per attingere acqua dai fossati e fiumi e imbarcazioni trasportabili e smontabili hanno perciò una parte importante nell’apparato iconografico. Il fuoco tematico del trattato è dunque uno degli aspetti cruciali della forma della guerra del Quattrocento, cioè l’arte di espugnare città fortificate e castelli, la cui imponenza è sintetizzata in architetture esemplari, torri, mura, porte e fossati difensivi. Le macchine da guerra sono accompagnate da figure di uomini armati rappresentati in momenti di azionamento e controllo degli strumenti per esmplificare la pratica e il funzionamento.
Furono realizzate numerose copie manoscritte per le più importanti biblioteche principesche del Quattrocento: Luigi XI re di Francia, Mattia Corvino re di Ungheria, Federico da Montefeltro duca di Urbino, Lorenzo il Magnifico, Malatesta Novello signore di Cesena, ad oggi se ne contatno 22 esemplari. Nessuna copia di ambito riminese è giunta fino a noi, sappiamo che ancora nel 1560 nella biblioteca di San Francesco alla quale per disposizione testamentaria Valturio donò tutta la sua biblioteca personale, era registrato un Robertus Valturius Ariminensis de re militari probabilmente l’autografo dell’opera.
Il trattato ebbe una singolare fortuna con l’avvento della stampa: nel volgere di pochi anni ne furono infatti pubblicate tre edizioni tutte quattrocentesche e tutte veronesi, la princeps uscita per I tipi di Giovanni da Verona, del 1472, la seconda a cura di Paolo Ramusio e per I tipi di Bonino Bonini uscita il 13 febbraio 1483 e la terza, il volgarizzamento, uscita a pochi giorni di distanza, il 17 febbraio 1483, sempre a cura di Ramusio e per I tipi di Bonini. La maggioranza delle copie manoscritte dell’opera è di pregio; e simili risultano le caratteristiche dell’editio principes, per la quale si richiedeva l’intervento dell’amanuense per il completamento delle rubriche, dei titoli e delle inziali, nonchè quella del miniatore per la carta inziale, dove erano stati lasciati grandi spazi bianchi: tutte parti che avrebbero dovuto farne un “librum elegantissimum”. Il testo latino, il pregio delle copie manoscritte, gli esemplari dell’editio princeps ne fanno un libro per uomini di lettere, per eruditi, è un libro che sicuramente trova una giustificazione nel clima culturale della corte Malatesiana. L’esemplare riminese conservato in Gambalunga (4.S.IV.11) fu donato alla Biblioteca dal cardinale Giuseppe Garampi è composto da 260 carte complessive e 84 silografie. Nel colophon compare anche Giovanni di Nicolò che si definisce il responsabile della stampa di litteris & figuratis signis sua in patria primus.
Leonardo da Vinci, grande estimatore del De re militari, ne possedeva una copia nella versione italiana di Paolo Ramusio che studiò attentaemente, traendone ispirazione per I suoi disegni di macchine e materiale per I suoi interessi lessicali.
Il volgarizzamento di Ramusio fu essenziale per la diffusione del trattato e per la formazione delle competenze di Leonardo nei primi anni milanesi, perchè gli permisero un accesso diretto che non poteva invece avere per I testi latini e gli consentirono di ispirarsi alle xilografie di macchine fantastiche come baliste, trabucchi e carri falcati. Tra le xilografie presenti nell’opera è l’illustrazione dei carri falcati descritti da Vegezio, potenti strumenti bellici dotati di falci rotanti già utilizzati da Egizi, Greci e Persiani. Ispirandosi a questa stampa Leonardo disegnò più volte questa arma devastante.
L’edizione in volgare contrariamente all’editio princeps era indirizzata a coloro che esercitavano per professione l’arte militare.
Le notizie riportate sono tratte:
Leonardo da Vinci : la scienza prima della scienza, a cura di Claudio Giorgione, Arte'm - L'Erma di Bretschneider, 2019
(Gubbio Palazzo Ducale, Museo Civico Palazzo dei Consoli, Museo Diocesano, 7 giugno-2 ottobre 2022).