Coriano, podere della Pedrolara. Potrebbe essere all’incirca il 1772, qualche anno prima o qualche anno dopo. È già da qualche tempo che Mingone e Ceccone trascorrono le sere a dialogare col padre. Il vecchio sente il pesar degli anni e non vuole mancar di vivere senza aver dato ai figli quei lumi e precetti pratici sul modo migliore di esercitare la pratica agraria. Il Vino, Figli miei, è un gran capo d’entrata per tutti i paesi dove allignan le viti, onde la coltura delle viti ricerca la miglior attenzione dell’Agricoltore sì nel piantarle, che nel custodirle a dovere. Così qualche giorno prima il padre aveva esordito la trattazione di come coltivare le viti e fare il vino per procedere quella sera a parlare di un’operazione di grande importanza, la vendemmia, dalla quale molto dipende la riuscita di un buon vino e poiché pensare alla medicatura del vino corrotto sarebbe come pensare di prendere un pugno di paglie, e gettate in aria, raccoglierle tutte, e unirle con quell’ordine con cui le avevi in pugno bisognava prestare molta attenzione: fare il vino è una cosa seria.
Se dalla casa di Mingone e Ceccone percorriamo poche centinaia di metri ma compiamo un salto temporale di un paio di centinaia d’anni, ci imbatteremmo nel vigneto della famiglia Conti. E anche qui curar le viti e fare il vino è una cosa seria… ma anche innovativa. È un assolato sabato di fine ottobre del 1977, Davide Minghini ha nel mirino della sua macchina fotografica una Pantera. Ma non è nera. È gialla e blu e il suo ruggito proviene dal motore del trattore che la sta trainando tra i filari di Sangiovese e a detta del suo inventore è aggressiva, resistente…come il carattere di un romagnolo.
La Pantera Riminese è la nuova creatura di Vincenzo: una vendemmiatrice semiautomatica. Una macchina agricola nuova, nata dalla fantasia e dall’intraprendenza del moderno Arzdor di Pedrolara. Una macchina capace di contenere 22 quintali d’uva, di trasportare 8 persone e di migliorare le condizioni di lavoro e la produttività degli addetti alla vendemmia. Vincenzo ha sempre fatto il contadino, con passione e competenza, ha 54 anni e conduce la sua azienda agricola con la moglie Anna e i due figli, Guido e Roberto. Nel 1968 è riuscito, dopo tanti sacrifici, ad acquistare il podere di 15 ettari che coltivava come mezzadro. Ha costruito una stalla per 60 capi di bestiame, 4 ettari sono stati impiantati a vigneto specializzato, sistemando i restanti 11 a foraggere e cereali. L’ultimo inverno ha dedicato qualche ora tutti i giorni alla progettazione e realizzazione, con l’aiuto dell’amico Casali, un fabbro di San Lorenzo, della sua macchina rivoluzionaria. Vincenzo non ha investito solo tempo e ingegno, anche l’impegno finanziario non è stato trascurabile, la realizzazione del prototipo, infatti, gli è costata circa 4 milioni. Investimenti che però gli hanno reso molte soddisfazioni, e non solo per il miglioramento nella gestione della propria azienda ma anche per il riconoscimento pubblico che ha ricevuto al 6° Salone Internazionale delle Invenzioni di Ginevra dove, nel novembre successivo, si è visto attribuire alla sua Pantera la medaglia d’oro. La conferma che la strada intrapresa sia quella vincente gli arriva da diverse parti. Da un lato, alla Fiera di San Gregorio, riceve parecchie richieste di acquisto da parte di viticoltori della zona, ma Vincenzo vuol fare il contadino e non il costruttore di macchine agricole, perciò declina le offerte e cerca invece di vendere il brevetto e per far questo pensa anche di partecipare alla popolare trasmissione Portobello. Dall’altro lato, qualche settimana prima, in Valmarecchia in un’azienda agricola di San Martino dei Mulini è proprio l’Ispettorato Agrario della Regione in collaborazione con la Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna e una ditta di macchine agricole di Faenza, a sperimentare un’altra macchina per la vendemmia automatizzata. Se si stanno muovendo istituzioni amministrative, culturali e industrie del settore vuol dire che Vincenzo ha colto nel segno. Certo c’è una differenza fra le due macchine, quella di Vincenzo non sostituisce il lavoro del contadino, lo razionalizza, lo agevola, lo velocizza, l’altra invece, compie da sola il lavoro di 25 uomini e in un’ora è capace di vendemmiare 30 quintali di acini. Ma la rotta ormai è tracciata. Qualche anno dopo anche la Cantina Cooperativa dei Vini di Romagna, che ha sede ad Ospedaletto, acquista una vendemmiatrice automatica e per convincere i viticoltori ad utilizzarla nei primi tempi la concede addirittura gratuitamente. Vincenzo continua però ad usare la sua Pantera, almeno fino a che è in grado di guidare l’azienda e di mettere insieme il personale necessario. Allora la vendemmia, in poderi delle dimensioni come quello di Vincenzo, era ancora condotta reclutando tutta la famiglia e con l’aiuto dei vicini. Ma con il progressivo spopolamento della campagna, quando il figlio Roberto decide di avviare in proprio un’attività in campo oleario e quando anche Vincenzo raggiunge la giusta stagione del riposo anche la gloriosa Pantera, intorno a metà degli anni ’90, cederà il passo alle nuove tecnologie.