“La storia di san Gaudenzo intriga. E intriga parecchio proprio perché – paradossalmente – del nostro patrono, è più quello che non sappiamo di quello che sappiamo.” Queste le battute di apertura dell’omelia del Vescovo Lambiasi nella ricorenza del santo patrono del 2014.
Gli elementi comuni lo indicano come originario di Efeso. nacque intorno al 280 da una famiglia cattolica benestante, fatto che gli permise di avere un’educazione solida. Alla morte dei genitori per mano dei Manichei, Gaudenzio si diresse a Roma dove ricevette il battesimo e ottenne la nomina a sacerdote. Divenuto vescovo della città di Rimini – probabilmente il proto-vescovo – Gaudenzo continuò nella sua opera di evangelizzazione e, secondo la tradizione attestata dal culto, morì martire. Su cosa accadde veramente una volta giunto a Rimini, sulla sua partecipazione al famoso Concilio tenutosi in città nel 359 non c’è nessuna certezza. Il culto del santo vescovo è molto antico, la tradizione ci rimanda diversi miracoli e la sua nomina a patrono di Rimini, ha superato indenne le molteplici riorganizzazioni che la Chiesa Cattolica ha imposto, dal Seciento ad oggi, al tema dei patroni, compatroni, protettori, difensori e tutori.
Com’è noto il cristianesimo a Rimini giunse molto presto. Al suo arrivo come primo vescovo della città, Gaudenzio trova già una comunità cristiana che si incotrava nella domus ecclesiae e cresceva attorno ai sacramenti, alla parola, alla fraternità, celebrando il battesimo e l’eucaristia, proclamando la parola di Dio e coltivando la carità sia all’interno che nei confronti dei bisognosi.
La più antica notiza del culto di San Gaudenzio è presente nel Breviarium Ecclesiae Ravennatis (codice Bavaro) un codice papiraceo che contiene il registro delle investiture concesse dalla chiesa di Ravenna nei secoli VIII, IX e X, qui l’arco di Augusto viene chiamato porta Sancti Gaudencii per via della struttura religiosa che si trovava fuori città lungo la via Flaminia e ci informa della centralità del culto del Santo tra il 692 e il 708 e la sua collocazione extraurbana, nell’area delle necropoli della città antica in un’area già presumibilmente dedicata alla memoria dei membri più antichi e riconosciuti santi.
La rara edizione dell’opera Le glorie riminesi nella vita, e martirio di S. Gaudentio scritta dal monaco Giovanni Francesco Mainardi e stampata a Rimini da Simbene Simbeni nel 1659 ci consegna una biografia di San Gaudenzio ricca di informazioni, la maggiorparte frutto della tradizione devozionale. Ci racconta che Gaudenzio, inviato a Rimini come pastore, trovò nella zona dei residui culti pagani che prese ad osteggiare con forza e convinzione. Nell’anno 359 partecipò al Concilio di Rimini convocato a proprie spese dall'imperatore romano Costanzo II, con lo scopo di ricomporre la frattura tra ariani e niceni riguardo alla dottrina cristologica. Il concilio fu il fatto più importante accaduto in città durante il IV secolo; tra fine maggio e ottobre 359 centinaia di vescovi col loro seguito risiedono in città per presiedere sessioni e attendere l’esito delle delegazioni. Purtroppo nonostante la gran quantità di fonti non sono forniti dati diretti e precisi sui luoghi o persone di interesse locale e da nessuna parte si è trovata traccia del santo Vescovo. L’imperatore Costanzo II è presente in città nel 357 e poi incarica il prefetto del pretorio Tauro di preparare e seguire i lavori. La scelta di Rimini come sede di un concilio sulla natura di Cristo da parte dell’imperatore Costanzo II, ariano, può essere stata determinata dall’orientamento filo ariano del clero locale.
Nel 1820 circa Alessandro Bornaccini realizza un’acquaforte dedicata al concilio intitolata Il Conciliabolo in Rimino, che fa parte della sua Storia di Rimino; la scena si svolge nella cattedrale di S. Colomba ritratta in architetture fantastiche di templio vasto in cui le colonne si moltiplicano come gli alberi della foresta. I costumi dei personaggi sono di pura fantasia, secondo la moda del teatro settecentesco e neoclassico, e riprendono motivi diffusi dalle stampe popolari o dalle stampe di invenzione del repertorio rinascimentale e barocco; a sinistra i sostenitori di Ario a destra i difensori della fede nicena tra cui appunto San Gaudenzio.
Le glorie riminesi nella vita, e martirio di S. Gaudentio ci raccontano poi che Gaudenzio con altri diciassette vescovi, una volta profilatasi la vittoria contro le teorie di Ario, lasciò il concilio e si ritirò in una piccola cittadina vicina e che dopo questo evento fu chiamata la Cattolica. Rientrato a Rimini, la sua incrollabile fede, i numerosi miracoli a lui attribuiti e la morte a stretto giro di due esponenti delle truppe imperiali, attirarono l’ira della Soldatesca della Guardia imperiale su di lui tanto da essere accusato come responsabile delle morti. Così venne dapprima arrestato, ed in seguito martirizzato da un gruppo di eretici che, strappatolo dalle mani dei magistrati incaricati di giudicarlo, lo percossero e lapidarono a morte il 14 ottobre del 360, in una zona acquitrinosa fuori porta romana (l’arco d’Augusto), chiamata Lacus Martyrum (da cui probabilmente l’attuale Lagomaggio). L’acquaforte di Bornaccini Martirio di S. Godenzo vescovo di Rimino ci mostra il santo martire in abiti vescovili al centro della scena, assalito dai soldati armati di bastoni, spade e sassi sempre vestiti in maniera fantastica; sullo sfondo si aprono architetture imponenti sorrette da una moltitudine di colonne e trabeazioni. Il racconto di Giovanni Francesco Mainardi ci informa che attorno al 430, Abortina, una donna originaria di Ravenna, cieca dalla nascita, ricevette un angelo in apparizione che le ordinò, se avesse voluto recuperare la vista, di andare a Rimini e recarsi presso la chiesa di San Gaudenzio per avvertire l’abate di dare degna sepoltura alle spoglie dei santi Gaudenzo, Valentino e Vittore che giacevano dimenticate sul fondo di un pozzo, coperto da una lastra di marmo, all’interno della chiesa stessa. La donna fece presente che, essendo cieca, le sarebbe stato impossibile viaggiare fino a Rimini e l’angelo, miracolosamente la trasportò a Rimini, nella chiesa di San Gaudenzio. La donna riacquistò la vista, tra le lodi a Dio dei presenti, solo quando vennero individuate ed estratte le sante spoglie dal pozzo, poi alloggiate in un grande sarcofago di pietra dietro l’altare maggiore. Questo sarcofago si può ancora osservare al centro del cortile della Curia riminese, a fianco del Tempio Malatestiano. Qui si interrompe il racconto devozionale seicentesco di Mainardi.
I ritratti settecenteschi del Santo conservati nel Gabinetto dei disegni e delle stampe, due incisioni a bulino realizzate da Giovanni Battista Galli e Giacomo Zampa, sono testimoni del radicamento del culto in città. Le stampe popolari devozionali nel Settecento e nei secoli precedenti non rientrano nella produzione ecclesiastica ufficiale, talvolta venivano commissionati da santuari, confraternite e corporazioni, singoli sacerdoti e devoti: a stamparle e a commerciarle erano perlopiù gli stessi incisori, calcografi, tipografi, cartolai. Le immaginette si distribuivano in cambio di un’offerta anche nei santuari, nei conventi e nelle chiese nei giorni di festa. Ma il sistema di diffusione più importante era il “colportage”, cioè lo smercio porta a porta e nelle fiere da parte di frati, pellegrini, mendicanti con patenti rilasciate dai vicini santuari, e ambulanti: questi ultimi obbligati in qualche luogo a vendere esclusivamente “oggetti atti a sollecitare sentimeni di pietà. Entrambe ci restituiscono il Santo effigiato in vesti vescovili e benedicente sullo sfondo della città di Rimini resa senza nessun edificio o peculiarità che possa rimandare alla città stessa.
Il permanere del culto è ancora più intrigante se si pensa che nel corso del tempo le reliquie sono state spostate più volte fuori da Rimini, infatti nel 590, a causa delle scorrerie dei barbari, la regina longobarda Teodolinda non ritenne le spoglie al sicuro, e le fece portare (tranne il cranio) a Senigallia. Il peregrinare dei resti del santo non era però finito, perché la chiesa eretta in suo nome in quella città cadde in rovina, motivo per cui furono portati a Ostra da un notabile del luogo. Ancora oggi si trovano in quella città, mentre alcuni frammenti delle braccia a Garaguso. Il cranio è ancora a Rimini, è attualmente ospitato in un prezioso reliquiario d’argento, donato nel 1857 da Pio IX alla Cattedrale di Rimini.
Il nostro longevo patrono vanta anche due cambi di identità entrambi collocabili alla fine del Settecento il primo ce lo racconta un’acquaforte di fine Settecento incisa da Luigi Povelato dove il San Gaudenzio vescovo di Novara è trasformato, con una correzione a penna, nel san Gaudenzio vescovo di Rimini. Il secondo, non più visibile ce lo raccontano foto e cartoline che mostrano la scultura in bronzo situata in piazza Cavour, opera in collaborazione dello scultore Nicolas Cordier e del fonditore Sebastiano Sebastiani, e dedicata a papa Paolo V tra il 1611 e il 1614. Durante la dominazione napoleonica di Rimini nel 1797, per sottrarla al rischio di distruzione da parte dei francesi, ne fu modificata la veste iconografica per ricondurla all'immagine del vescovo patrono San Gaudenzio, come copricapo indossava la mitra vescovile, nella mano sinistra il bastone pastorale e il palmo della mano destra aperto. Solo nel 1939, ad opera dello scultore Filogenio Fabbri, fu restaurata per riportarla all'aspetto originario al posto della tiara vescovile fu inserito il triregno papale, fu ripristinata la mano destra con le tre dita alzate in segno di benedizione, nella mano sinistra al posto del pastorale furono inserite le chiavi della città.
“Le urne degli uomini forti stimolano le menti degli uomini a compiere grandi cose, e rendono sacra per il pellegrino la terra che le ospita” ci piace immaginare che la forza e la determinazione di San Gaudenzio siano state l’ispirazione che ha spinto molti anni fa Umberto Bartolani ad organizzare la prima tombola di beneficenza in favore della Croce Rossa italiana in piazza Cavour per le celebrazioni del patrono. Libri antichi, preziose incisioni e fotografie conservate in Gambalunga ci hanno raccontano delle gesta del Patrono e del suo culto, che al di là delle evidenze storiografiche, sono segno di unità e convivenza pacifica, oltreché memoria di radici culturali e religiose condivise dalla popolazione attraverso le generazioni.
Consigli di lettura
Aldo Amati, Paolo Guiducci, Pier Giorgio Pasini, Un borgo di memorie: la parrocchia San Gaudenzo nel borgo Sant'Andrea: la storia, l'arte, il Santo patrono, Rimini, Il Ponte, [2011]
Giovanni Assorati, I primi cristiani in Emilia-Romagna tra prosopografia e storia, Bologna, BraDypUs, 2014.
Grafica riminese fra rococo e neoclassicismo: disegni e stampe del Settecento nella biblioteca gambalunghiana, Rimini, Sala delle Colonne, febbraio-settembre 1980. Catalogo della Mostra a cura di Piero Meldini ... [et al.]
Alessandro Bornaccini, Storia di Rimino; a cura di Giovanni Rimondini; saggio critico di Andrea Donati. Rimini, Luisè, 2006