Rimini, secoli XIV-XVI: l’età malatestiana
Il dominio dei Malatesta si estende ininterrotto per oltre due secoli: dal 1295, quando Malatesta da Verucchio, il dantesco “mastin vecchio”, ha ragione della famiglia rivale dei Parcitadi, al 1528, quando Pandolfo iv, il detestato “Pandolfaccio”, è costretto ad abbandonare definitivamente la città. Per tutto questo tempo Rimini è la capitale di una signoria che si espande territorialmente non solo in Romagna, ma anche nelle Marche e in Toscana, fino ad Ascoli e Sansepolcro, salvo tornare a contrarsi quando le vicende militari e il gioco delle alleanze divengono sfavorevoli; un centro di potere che ora si rafforza ora si indebolisce, e tanto per cause esterne quanto per faide familiari.
Il periodo di maggior splendore della signoria malatestiana è quello di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468). Brillante capitano di ventura e abile diplomatico, principe raffinato e generoso mecenate, freddo calcolatore e improvvisatore intemperante, Sigismondo mostra una personalità poliedrica, contraddittoria e ingombrante. Ma è proprio in questa sua complessità che stanno la modernità e il fascino del personaggio. Sui Malatesta in generale e su Sigismondo in particolare pesa una fama negativa, per non dire sinistra, che gli eventi storici da soli non giustificano. I Malatesta erano certamente una stirpe bellicosa e spregiudicata, ma non più di altre e, in ogni caso, all’altezza dei tempi. Erano forse eccessive, per quella che tutto sommato appariva una signoria piccola e decentrata, le ambizioni che coltivava, ed eccessive erano sicuramente la sua turbolenza e la sua impulsività: tali da suscitare l’ostilità delle altre signorie, maggiori e minori, e della Chiesa, e di alimentare, di conseguenza, una reputazione sfavorevole che si è tramandata nel tempo. La signoria dei Malatesta ha fatto di Rimini il cuore di uno Stato autonomo e le ha dato un ruolo non marginale nelle vicende italiane. Ha segnato il volto della città e del suo contado – disseminato, questo, di torri e castelli. Si è fregiata – soprattutto durante il principato di Sigismondo – di una corte che ha attratto artisti famosi, letterati e umanisti, e promosso una cultura aristocratica e raffinata, dotta ed enigmatica.
Nell’impossibilità di documentare, per quanto sommariamente, un periodo storico così ampio è complesso, si è scelto di presentare pochi oggetti, ma dal grande valore iconico: tra gli altri, il cosiddetto Codice pandolfesco, che raccoglie i più importanti documenti sulla famiglia; il più antico e autorevole manoscritto della Cronaca malatestiana; il codice della Regalis historia, sulle origini della famiglia, scritto per Carlo Malatesta; quello del De civitate Dei, scritto per Pandolfo Malatesta dall’amanuense Donnino di Borgo San Donnino e splendidamente miniato; l’editio princeps dell’incunabolo De re militari di Roberto Valturio, illustrata da grandi xilografie acquerellate. Infine, per gentile concessione di Crédit Agricole, l’elegantissimo codice dell’Astronomicon di Basinio, probabile esemplare di dedica a Malatesta Novello, fratello di Sigismondo Pandolfo e signore di Cesena.