Paura reverenza terrore. Cinque saggi di iconografia politica (Adelphi, 2015)
Sala del Giudizio, Museo della Città - ore 17.00 23/01/2016
Durata 01:23:37
Concluso il ciclo di conversazioni dedicate a Tutta la paura del mondo, Biblioterapia 2015 dà appuntamento al 23 gennaio 2016, nella Sala del Giudizio(Museo della Città, ore 17.00) per l’ultimo incontro, la presentazione di Paura reverenza terrore. Cinque saggi di iconografia politica, di Carlo Ginzburg, da poco uscito per Adelphi.
A dialogarne con Ginzburg, storico fra i maggiori del nostro tempo, sarà lo storico e saggista Stefano Pivato, già Rettore dell’Università degli Studi di Urbino.
«Per capire il presente dobbiamo imparare a guardarlo di sbieco», suggerisce Carlo Ginzburg in Paura reverenza terrore, testo che inaugura la collana “Imago” di Adelphi. Perché, come da risvolto, oggi «siamo circondati, sommersi dalle immagini. Dagli schermi dei computer e degli apparecchi televisivi, dai muri delle strade, dalle pagine dei giornali, immagini d'ogni genere ci seducono, ci impartiscono ordini (compra!), ci spaventano, ci abbagliano». L’invito che lo storico ci rivolge è allora quello di guardare lentamente, indagando insieme a lui cinque immagini, notissime e meno note, di diverso tipo ed epoca, accomunate dall’esprimere gesti di terrore: Guernica di Picasso, il manifesto di Lord Kitchener con il dito puntato verso chi guarda, il Marat di David, il frontespizio del Leviatano di Hobbes, una coppa d'argento dorato con scene della conquista del Nuovo Mondo.
Convinto che «i ricercatori devono saper usare l’immaginazione perché i documenti non comunicano da soli», per decodificare il mistero delle cinque “icone” Ginzburg ricorre al concetto di Pathosformeln (formule di pathos), coniato dallo storico dell’arte Aby Warburg, cioè «l’idea secondo la quale a partire dal Rinascimento l’arte recupera e riadatta modelli antichi di gestualità patetica intensificata, capace di grande suggestione», come scrive Marco Pacioni su Alfabeta2,recensendo il libro.
E convocando testi letterari e filosofici, documenti d’archivio, immagini di ogni sorta, in un percorso di lucida erudizione che riesce a farsi leggere come un appassionante inchiesta poliziesca, Ginzburg mostra come le “icone” scelte portino e manifestino i segni del potere e dei rapporti di forza, fino al disvelamentodelle Pathosformeln ancora attive nella propaganda totalitaria del Novecento. Riuscendo pienamente nell’assunto di farci guardare il presente di sbieco, oppure, per usare un’altra sua metafora, «a distanza, come se lo vedessimo attraverso un cannocchiale rovesciato». Ma non solo il presente. «Adesso viviamo in un mondo in cui gli Stati minacciano il terrore, lo esercitano, talvolta lo subiscono» spiega infatti Ginzburg, che è il «mondo di chi cerca di impadronirsi delle armi, venerabili e potenti, della religione, e di chi brandisce la religione come un’arma. Un mondo in cui giganteschi Leviatani si divincolano convulsamente o stanno acquattati aspettando. Un mondo simile a quello pensato e indagato da Hobbes. Ma qualcuno potrebbe sostenere che Hobbes ci aiuta a immaginare non solo il presente, ma anche il futuro: un futuro remoto, non inevitabile, e tuttavia forse non impossibile».
Carlo Ginzburg è lo storico italiano più noto e conosciuto anche all’estero, con libri tradotti in oltre venti lingue. Figlio di Leone e Natalia Ginzburg, si è formato alla Normale di Pisa e al Warburg Institute di Londra. Professore di Storia Moderna, dopo aver insegnato presso l’Università di Bologna, dal 1998 è docente presso il Dipartimento di Storia all’Università della California (UCLA). Collabora a numerose riviste di studi storici: "Past and Present", "Annales", "Quaderni storici", "Rivista storica italiana", "Critical Inquiry", "Elementa" e "Communications"; è inoltre membro dell'Accademia delle Arti del Disegno (Firenze) e membro onorario dell'American Academy of Arts and Sciences. Nel 1992 è stato insignito del Prix Aby Warburg, nel '93 del Prix Lyssenko, nel 2005 del Premio Feltrinelli per le scienze storiche e nel 2010 del Premio Balzan. Ha il merito di avere sviluppato in Italia la microstoria, più mirata allo studio delle comunità, delle relazioni personali ed economiche, del folklore e delle credenze popolari, nonché più attenta alle vicende dei protagonisti minori; ha la capacità di indagare il passato mantenendo sempre un occhio attento al presente.