Tre Martiri

Mario Capelli (21 aprile 1925 - 16 agosto 1944)
Luigi Nicolò (8 giugno 1922 - 16 agosto 1944)
Adelio Pagliarani (29 maggio 1925 - 16 agosto 1944)
Rimini, 13 agosto 1944, l'ultima foto scattata alla ex caserma di via Ducale da Cristoforo Greppi e portata in salvo da Sergio Giorgi ("Amazasèt") il primo in piedi da destra. Da sinistra: Luigi Nicolò, Adelio Pagliarani e Alfredo Cecchettii. In basso da sinistra Gino Amati e Mario Capelli.
Rimini, 13 agosto 1944. Mario Capelli
Rimini, 13 agosto 1944. Luigi Nicolò
Rimini, 13 agosto 1944. Adelio Pagliarani
Rimini, 16 agosto 1944. Mario Capelli, Luigi Nicolò e Adelio Pagliarani impiccati in Piazza Giulio Cesare
Lettera scritta dal dicianovenne Adelio Pagliarani alla madre, dal carcere del comando dei carabinieri presso il Convento delle Grazie, la notte precedente l'impiccagione
Lettera scritta dal dicianovenne Adelio Pagliarani alla madre, dal carcere del comando dei carabinieri presso il Convento delle Grazie, la notte precedente l'impiccagione
Trascrizione della lettera di Adelio Pagliarani
21 settembre 1976. Piazza Tre Martiri, cerimonia di inaugurazione della lapide dello scultore Elio Morri dedicata ai Tre Martiri. Da sinistra: Gianluigi Crescentini, Decio Mercanti, Veniero Accreman
21 settembre 1976. Piazza Tre Martiri, cerimonia di inaugurazione della lapide dello scultore Elio Morri dedicata ai Tre Martiri. Al centro Veniero Accreman, a destra Gianluigi Crescentini, a sinistra Decio Mercanti
21 settembre 1976. Piazza Tre Martiri, cerimonia di inaugurazione della lapide dello scultore Elio Morri dedicata ai Tre Martiri.
21 settembre 1976. Piazza Tre Martiri, cerimonia di inaugurazione della lapide dello scultore Elio Morri dedicata ai Tre Martiri.

I TRE MARTIRI 

Tre Martiri è la denominazione che accomuna i tre partigiani Mario Capelli, Luigi Nicolò e Adelio Pagliarani impiccati il 16 agosto 1944 nella piazza principale di Rimini, a loro intitolata pochi mesi dopo. Essi rappresentano il simbolo della Resistenza e dei caduti nella lotta di Liberazione nel territorio della Provincia di Rimini.

I tre giovani partigiani, attivi nella Resistenza riminese sin dai primi giorni successivi all'Armistizio, nell'estate del 1944 facevano parte del medesimo Distaccamento della 29ª Brigata GAP "Gastone Sozzi". Nelle righe che seguono la ricostruzione della loro partecipazione alla Resistenza e i fatti che portarono alla loro morte.

Breve storia della Resistenza nel territorio di Rimini

A Rimini, nell’estate del 1943, dopo la caduta di Mussolini, si era costituito un Comitato del Fronte Nazionale Antifascista che aveva aggregato forze democratiche prefasciste, lavoratori, giovani e intellettuali. La Federazione clandestina comunista, con alla guida Decio Mercanti, era l’anima della Resistenza riminese e già nell’inverno 1943-’44 si ebbero i primi atti di sabotaggio e le prime azioni di guerriglia. Solo nel marzo 1944 si costituì, a Verucchio, il Comitato di Liberazione Nazionale del riminese di cui facevano parte comunisti, socialisti, repubblicani, democristiani e azionisti. In una città che era stata completamente devastata dai bombardamenti aerei ed era del tutto spopolata, mentre le campagne erano state snaturate dalla marea di profughi e sfollati, il CLN riminese constatò che non era possibile svolgere un’attività guerrigliera centralizzata, a vasto raggio organizzativo. Si decise che bisognava adottare una tecnica basata sulle iniziative individuali, capillari, quale era quella che veniva affidata ai G.A.P. (Gruppi di Azione Patriottica). Nello stesso tempo altri giovani risalirono le vallate del Conca, del Marecchia e dell’Uso per arruolarsi nelle due brigate partigiane, la 5a nel pesarese e l’8a nel forlivese. Il più attivo ed audace gruppo gappista del riminese fu quello costituito in parte dagli elementi che avevano già militato nell’8a Brigata: Sergio Giorgi (“Amazaset”), Luigi Nicolò, Alfredo Cecchetti, Gino Amati, Mario Capelli, Adelio Pagliarani, Cristoforo Ghezzi, Michele Angelini, Achille Marchini. Questi spericolati patrioti operavano nel riminese e nei comuni vicini, muovendosi sulla motocicletta con sidecar. Vestiti con divise fasciste compivano sabotaggi, attentati, azioni a fuoco, poi si eclissavano.

Nei rastrellamenti di aprile ’44 Giorgi e Nicolò furono catturati ma riuscirono a scappare, non tornarono sui monti ma entrarono nella 29a G.A.P. “Gastone Sozzi” costituendo un gruppo d’assalto con base a Rimini e con due covi: uno nella via Cavalieri, dietro al fabbricato della Cassa di Risparmio, nella casa disabitata dell’ispettore didattico Zeno Riga, sfollato in campagna, l’altro nella vecchia caserma di via Ducale, che aveva il vantaggio di un’uscita di scampo nascosta sul retro. Sotto la loro spinta, e quella di Capelli, il più impegnato politicamente, il gruppo compì le azioni a fuoco più audaci e temerarie della Resistenza riminese in pianura, come l’attentato al capitano fascista Vinzio a Dogana di San Marino e al segretario federale fascista Paolo Tacchi a Serravalle.

La cattura e la condanna a morte

Il 1° luglio 1944 il Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale aveva lanciato un appello ai contadini invitandoli a non trebbiare il grano per impedire che i tedeschi lo requisissero e lo portassero in Germania: “Trebbiate il grano per i vostri fabbisogni familiari e nascondente il prodotto”. A seguito di questo appello il Capo della provincia diede disposizione alle autorità locali di far presidiare le trebbiatrici dai militi della Guardia Nazionale Repubblicana per evitare che venissero attaccate e distrutte dai partigiani.

Alla fine di luglio pervenne al tenente colonnello Christiani, a capo all’Ortskommandatur di Rimini, una lettera anonima con cui si denunciava che due uomini armati ed uno apparentemente disarmato avevano intimato ad un colono, residente in località Fornaci Marchesini, di non effettuare la trebbiatura. La lettera arrivò in copia anche alla Segreteria del Fascio, nessuno ci fece caso.

La notte del 12 agosto la trebbiatrice, di proprietà del prof. Francesco Zavagli e soci, venne incendiata da un GAP. L’incendio, ben visibile dalla Villa Belvedere sul Colle di Covignano, residenza del colonnello Christiani che proprio quella sera ospitava a cena Tacchi e il suo vice Mario Mosca, fu ritenuto da Christiani una provocazione a lui personalmente diretta. L’azione era l’opera del gruppo di partigiani di via Ducale, composto da 7 uomini, tra i quali Nicolò, Capelli e Pagliarani. 

Il colonnello Christiani dispose l’arresto di nove noti riminesi far cui l’avv. Mario Bonini, l’esponente democristiano Giuseppe Babbi e lo stesso Commissario Prefettizio Ugo Ughi.

Nei giorni precedenti era stato ucciso un milite repubblichino nei pressi dell’Arco d’Augusto. I fascisti riminesi, con Paolo Tacchi in testa, erano perciò determinati, anche su espressa richiesta di Christiani, nel trovare gli autori dell’incendio della trebbiatrice e dell’uccisione.

Tacchi effettuò un sopralluogo sul fondo dove si trovava la trebbiatrice bruciata e il colono gli dichiarò di aver riconosciuto uno dei tre che lo avevano minacciato, un certo Leone Celli, barbiere di Forlimpopoli, che abitava in via Ducale ed ora era sfollato presso le Fornaci Marchesini.

Celli, arrestato per le accuse anonime e come partecipante all’incendio della trebbiatrice, durante l’interrogatorio, per scagionarsi, confessò che uno dei due armati era il partigiano riminese Alfredo Cecchetti che prima dello sfollamento abitava in via Ducale, nella vecchia caserma. Un ufficiale tedesco assieme a Tacchi si recò sul luogo per verificare le informazioni. Quando i due giunsero in via Ducale, Nicolò, Capelli, Pagliarani e Cecchetti stavano preparando una cena a base di carne, piuttosto inusuale per quei drammatici tempi e fortunosamente recuperata da Capelli a Spadarolo. Caso volle che proprio mentre Tacchi faceva irruzione Cecchetti fosse uscito dal retro per cercare del rosmarino per la carne. Lo stesso Tacchi dichiarò: “sorprendemmo tre persone, due delle quali stavano cucinando ed una era seduta al tavolo. I primi due erano in divisa, uno da vicebrigadiere della Guardia Nazionale Repubblicana, l’altro in divisa da sergente della Wermacht, il terzo era in borghese. […] All’interno dello stanzone si presentavano alla vista tre mitragliatrici leggere ed alcune rivoltelle sparse sul tavolo. […] altre armi con tre cassoni di bombe a mano, varie divise tedesche, di cui alcune con tracce di sangue, e tre divise italiane”. La relazione tedesca di cattura è tuttora irreperibile. Da un rapporto, stilato il 30 agosto successivo, si elencavano: una mitragliatrice leggera, due pistole mitragliatrici, 6 carabine, 3 pistole, 31 bombe a mano e 14 bombe fumogene.

I tre giovani vennero legati e trasportati con un camion al comando germanico nell’ex-osteria Pettini, in via Covignano e selvaggiamente interrogati. Non parlarono, ma le condizioni del loro arresto non mettevano in dubbio la loro qualifica di combattenti irregolari.

La mattina del 15 agosto, si riunì la Corte Marziale del 303° reggimento presieduta da Christiani, la sentenza di morte era scontata. Lo stesso giorno il Generale Ralph von Heygendorff, comandante di divisione, ratificò la sentenza. I tre partigiani riminesi erano stati condannati ad essere impiccati sulla pubblica piazza, come prescrivevano gli ordini del generale Kesselring sulla lotta antipartigiana. La sentenza doveva essere eseguita entro le 24 ore!

Successivamente i tre vennero portati presso il Convento delle Grazie, sul colle di Covignano, dove si trovava il comando dei carabinieri e qui rinchiusi in una stanza della portineria a pianterreno, adibita a carcere, dove passarono la loro ultima notte e scrissero le lettere di addio ai propri cari.

Alle 6 del mattino del 16 agosto arrivarono sul piazzale delle Grazie gli ufficiali tedeschi a prelevare i tre giovani per condurli alla forca di piazza Giulio Cesare. I minuti allucinanti di quella esecuzione rivivono, per sempre, nella testimonianza dei partigiani Libero Angeli e Augusto Cavalli che avevano casualmente saputo della esecuzione da un milite fascista: “La mattina di quel funesto 16 agosto abbiamo visto attraversare la piazza Giulio Cesare un carro con sopra i tre prigionieri, in mezzo ad un drappello di militari. […] guardinghi e timorosi ci siamo portati davanti al porticato di via Garibaldi, di fronte al patibolo. […] Affaccendati attorno alla forza una ventina di mongoli attorniati da una quindicina di armati tedeschi. […] Capelli, al centro, era altero, Nicolò e Pagliarani ai lati, un po' abbattuti. Sulle parti scoperte dei loro corpi erano evidenti varie ecchimosi. Nessuna lacrima rigava il loro volto, non un lamento, non un sospiro è uscito dalle loro labbra. Dei mongoli hanno infilato il cappio al collo dei patrioti con qualche difficoltà...quindi hanno trascinato via i tavoli, i loro corpi hanno traballato poi sono rimasti sospesi e immobili. Un attimo prima di rimanere sospesi, Capelli ha gridato “viva Stalin”, Nicolò e Pagliarani gli hanno fatto eco ripetuto con voce chiara e forte “viva Stalin”. Quel che mi è rimasto impresso nella memoria: alcuni dei militari che sghignazzavano, altri impassibili, altri che si giravano per non vedere.”

L’esecuzione pubblica doveva servire di monito per i riminesi. Subito dopo i tedeschi girarono per le campagne a raccogliere gente da portare sul luogo dell’impiccagione. I tre giovani corpi furono sepolti nel Cimitero di Rimini due giorni più tardi, il 18 agosto 1944. 

Nei filmati delle forze alleate, che entrarono in Rimini il 21 settembre 1944, tra le macerie, si intravede ancora il capestro dei martiri.

Il 9 ottobre 1944 la Giunta Municipale deliberò di cambiare il nome della piazza Giulio Cesare in piazza Tre Martiri. Sul luogo esatto del patibolo furono collocate sul selciato della piazza tre piastrelle bianche.

Ai tre Martiri sono state in seguito dedicate tre vie nel quartiere Ina Casa, mentre il 21 settembre 1976 fu collocata in piazza Tre Martiri la targa ricordo in bronzo dello scultore Elio Morri.

Un’altra lapide che ricorda la cattura dei tre giovani si trova murata sulla facciata della vecchia caserma, in via Ducale n° 5.

 

Link utili

Attraverso il portale Resistennza mAPPe, un progetto a cura degli Istituti Storici dell'Emilia-Romagna, si possono scoprire itinerari urbani che raccontano i luoghi e gli eventi della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza. A questo link puoi accedere al percorso sulla resistenza nella città di Rimini.

Dal primo novembre 1944 al 4 gennaio 1945 Rimini subì 388 bombrdamenti aerei, navali e terrestri. Rimini Bombardata raccoglie la cronologia e le testimonianze di quei tragici eventi

Bibliografia sui Tre Martiri e sulla Resistenza a Rimini 

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